La Lobby Gay e la cultura omosessualista, Sesso e Mondo Gay - La verità

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Naruto_Uzumaki !
view post Posted on 29/5/2011, 18:33     +1   -1




La Lobby Gay e la cultura omosessualista

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Come il peggiore dei luoghi comuni, si rafforza negandolo. Più i gay ripetono «non siamo un potere forte, né occulto», più il mondo etero si convince che «sono una lobby potentissima».

Potere gay. Quando Benedetto XVI, parlando ai nunzi apostolici dell’America Latina nel febbraio 2007, ribadì il ruolo centrale del matrimonio nella società contemporanea, «che è l’unione stabile e fedele tra un uomo e una donna», lamentando come la famiglia «mostra segni di cedimento sotto la pressione di lobby capaci di incidere sui processi legislativi», l’universo gay, sentendosi chiamato in causa, rispose sdegnato che la vera lobby, semmai, era quella vaticana... Ma l’opinione pubblica ebbe confermato, ex cathedra, un sospetto magari tendenzioso ma radicato.

In Italia, per ben note questioni storiche, il «potere» dei gruppi omosessuali è ancora sotto traccia. Ma nel resto del mondo occidentale, soprattutto nei Paesi anglosassoni dove i termini gay e lobby non hanno alcuna connotazione negativa, l’omosessualità, oltre che una ragione di orgoglio, pride, è anche una questione di potere, power.

E se recentemente è stato lo stesso presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a fare i conti con il peso politico della comunità gay (in occasione del referendum sul matrimonio omosessuale nello stato della California è stato aspramente criticato per le sue affermazioni sul matrimonio come «un’unione sacra, benedetta da Dio, tra un uomo e una donna»), è soprattutto nel mondo degli affari e dell’economia che le quotazioni della «gay corporation» sono in costante aumento: una dettagliata inchiesta pubblicata su Corriere Economia nel marzo 2008 metteva in evidenza la straordinaria capacità da parte dei gay di «fare rete». E sottolineava come, mentre aveva fatto discutere la decisione della banca d’affari Lehman Brothers di dedicare una giornata di selezione a Hong Kong solo per gli omosessuali per accaparrarsi i talenti migliori, per tante società americane la cosa non presentava nulla di speciale. Negli Usa esiste un’associazione, Out&Equal, con sede a San Francisco - capitale storica della liberazione (omo)sessuale - che promuove il diritto all’uguaglianza degli omosessuali nei luoghi di lavoro. E in tutte le grandi banche, in Ibm, in Johnson&Johnson, esistono gruppi organizzati di «Glbt», l’acronimo utilizzato per riferirsi a gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Ed è attraverso organizzazioni come queste che la comunità omosessuale «fa network», cioè lobby.
Una lobby potente e ricca. Anzi, secondo un dossier del 2006 della rivista Tempi, ricchissima: la lobby omosessuale internazionale, che ha le sue roccaforti a New York, Washington, San Francisco e Bruxelles, è sempre più influente. Riceve finanziamenti sia dalle grandi corporation americane, sia dai governi e dalle istituzioni internazionali, spesso sotto forma di donazioni a Ong o fondi per la lotta all’Aids. Uno tra i più influenti gruppi che appoggiano le battaglie per i diritti delle comunità gay e bisessuali negli Usa come in America Latina e in Europa è quello dei «Catholics for a Free Choice», un’organizzazione che assieme all’«International Lesbian and Gay Association» (presente in 90 Paesi con oltre 400 organizzazioni affiliate) lavora a Bruxelles per far pressione sui legislatori affinché agiscano contro gli Stati che non riconoscono le unioni omosessuali.

Giusto per capirne la potenza economica, il gruppo «Catholics for a Free Choice» dispone di un budget annuale di 900mila dollari ed è finanziata da molti «poteri forti», tra cui la Playboy Foundation, la MacArthur Foundation, l’Open Society Institute del finanziere George Soros e la Rockefeller Foundation. Le medesime fondazioni, poi, con l’aggiunta di colossi dell’industria mondiale - dalla Kodak all’American Airlines, da Apple alla Toyota - finanziano per decine di migliaia di dollari la più importante organizzazione gay con sede a Washington: la «Human Rights Campaign». E solo per citare un altro colosso, la Sony è tra i fondatori di «Mtv Gay Channel» e sponsorizza gli attivisti pro-nozze gay e pro-aborto della «Rock for Choice» che coinvolge numerose star della musica, dai Red Hot Chili Peppers a Tracy Chapman.
Come fanno notare molti intellettuali, la potenza politico-economica dei gruppi gay è tale da influenzare l’intero ambito sociale, arrivando a imporre le regole del «politicamente corretto». Esempi? La riforma del diritto di famiglia voluta da Zapatero in Spagna per introdurre il matrimonio tra omosessuali ha cancellato dal codice civile i termini «marito» e «moglie» (sostituiti da «coniuge») e «padre» e «madre» (sostituiti da «genitore»); la BBC ha diramato una circolare interna in cui bandisce i termini «padre» e «madre»; il ministero della Pubblica istruzione inglese suggerisce agli insegnanti di redarguire i bambini che si riferiscano ai propri genitori chiamandoli «mamma» o «papà» perché ciò farebbe sentire discriminati i bambini cresciuti da coppie omosessuali... E qualche mese fa, a una domanda della giuria di Miss America sulle unioni gay, Carrie Prejean, rispondendo che «nella mia nazione ideale il matrimonio è tra un uomo e una donna», si è giocata il titolo.

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E se sulla strada del politicamente corretto anche l’Italia sta facendo passi da gigante, su quella del potere-gay, invece, il nostro Paese - cattolico per fede, omofobo per cultura e moralista per tradizione - è sicuramente un passo indietro rispetto agli Usa e al resto d’Europa. Asher Colombo, sociologo dell’Università di Bologna che con il collega Marzio Barbagli è autore del saggio Omosessuali moderni. Gay e lesbiche in Italia (uscito per il Mulino nel 2007), è chiarissimo: «Se per lobby si intende un vero gruppo organizzato che opera all’interno dei “palazzi” del potere per influenzare decisione politiche o economiche, allora in Italia il concetto di lobby gay non ha senso. Associazioni anche importanti come Arcigay o Arcilesbiche sono più simili a movimenti sociali che a vere forme organizzate come ad esempio la lobby degli industriali... Però è indubbio che ci sono singole persone di orientamento omosessuale molto influenti nelle arti, nella politica, nello spettacolo. La moda e la televisione, ad esempio, sono settori dove l’omosessualità è una caratteristica meno discriminante che in altri campi e dove è più facile fare coming out. E ciò modifica la percezione dell’opinione pubblica che confonde la minor discriminazione all’ingresso con il fare lobbying...».
Moda e televisione: proprio i due regni dove il luogo comune del potere gay si rafforza negandolo. Quando poco prima dell’estate il direttore di Vogue Italia Franca Sozzani, intervistata da Klaus Davi, liquidò la lobby omosessuale nel mondo della moda come un «mito», tutti - ricordandosi l’indiscrezione di quel dirigente di Dolce&Gabbana secondo il quale «noi assumiamo solo gay» - hanno inteso esattamente il contrario. Così come non c’è addetto ai lavori del mondo editorial-giornalistico che non ricordi - due anni fa - la processione di star della politica e della cultura che sfilò al teatro Manzoni di Milano quando Alfonso Signorini presentò in pompa magna il suo libro sulla Callas. Un parterre che neppure Eco, o Cacciari, o Baricco, o Camilleri - anche tutti insieme - potrebbero mai sognare.

Intanto, anche da noi, sull’onda mediatica del successo di film e serial tv politicamente molto corretti e culturalmente molto queer, c’è chi sta pensando di fondare un partito «altro». Al Gay Pride 2009, a Genova il presidente di Arcigay Aurelio Mancuso ha ribadito la necessità per i gay di «entrare in politica». Sfilando in piazza per andare ben oltre il semplice concetto di lobby .

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La Società Inglese bombardata dalla cultura Omosessualista

Cosa c’entra l’omosessualità con la matematica, la geografia o la scienza? Questa domanda se l’è posta Melanie Phillips, intelligente e prestigiosa giornalista britannica, in un articolo pubblicato sul quotidiano Daily Mail il 24 gennaio 2011. Il titolo di quell’articolo è di per sé assai eloquente: E’ vero che i gay sono stati spesso vittima del pregiudizio, ma ora rischiano di diventare i nuovi McCarthy.
Gli studenti britannici saranno quotidianamente bombardati da espliciti riferimenti all’omosessualità, durante le lezioni di matematica, geografia e scienza, grazie ad un’iniziativa sponsorizzata dal Governo, e finalizzata all’introduzione della «gay agenda» nei programmi scolastici.
In geografia, per esempio, gli studenti verranno stimolati a considerare quali siano le motivazioni che spingono gli omosessuali a trasferirsi dalla campagna alla città, ed a studiare alcuni particolari fenomeni sociologici, come quello che ha determinato la trasformazione del quartiere Castro di San Francisco, da sobborgo operaio irlandese degli anni ’60, al primo «gay neighbourhood» (sobborgo gay) del mondo.
In matematica, poi, gli studenti dovranno imparare pure a tener conto, nei calcoli di statistica sul censimento, del numero degli omosessuali presenti nella popolazione. Dato che l’iniziativa coinvolge anche le scuole elementari (dall’età di quattro anni in su), per i più piccoli verranno utilizzati personaggi omosessuali nei problemini matematici.
Per quanto riguarda la scienza, verranno ovviamente studiati i presunti fenomeni di omosessualità in natura, con particolare riguardo ai «pinguini imperatore» ed agli «orsi marini», e dovranno essere stimolate discussioni in classe sulle differenti strutture di coppia nel mondo animale, comprese le coppie dello stesso sesso. Per i più piccini, verranno introdotte idonee letture sul tema, anche attraverso la promozione di libri come And Tango Makes Three, la storiella di due pinguini omosessuali che allevano un cucciolo.
Durante le lezioni di disegno e tecnica, invece, gli studenti saranno stimolati a realizzare simboli legati al movimento per i diritti omosessuali.
Gli insegnanti di inglese dovranno invece promuovere un’idonea conoscenza del «LGBT vocabulary», il linguaggio del mondo Lesbian, Gay, Bisexual and Transexual, e dovranno anche tener conto di personaggi omosessuali quando agli studenti verrà chiesto inscenare una recita teatrale.
Melanie Phillips prende sul serio i rischi derivanti da questa bislacca iniziativa, per la quale sostiene ci sia «ben poco da ridere» («alas, this gay curriculum is no laughing matter»).
«Per quanto possa sembrare assurda», precisa la giornalista, «questa iniziativa rappresenta l’ultimo tentativo di lavaggio del cervello dei ragazzi attraverso una propaganda camuffata da educazione». E l’affondo si fa ancora più duro quando afferma che siamo di fronte ad un «abuse of childhood», un vero e proprio abuso minorile. «Si tratta», spiega la Phillips, «della solita implacabile e spietata campagna promossa dalla lobby per i diritti dei gay, finalizzata a distruggere la stessa idea che possa esistere un comportamento sessuale normale».
Esiste oggi, in realtà, un preciso e sistematico progetto culturale da parte delle lobby omosessuali, il cui dichiarato intento è quello di penetrare profondamente nella mentalità comune. Ne è prova l’intervista rilasciata poco tempo fa al quotidiano The Sun da Phil Collinson, il produttore televisivo gay della più famosa e seguita soap opera britannica, Coronation Street, che va in onda tutti i lunedì sera. Collinson ha dichiarato senza mezzi termini in quell’intervista, la precisa intenzione di utilizzare la sua fiction televisiva come «a platform for pushing homosexual issues», uno strumento per la promozione delle tematiche omosessuali. Nella trama della soap opera, infatti, vengono inserite con assoluta normalità anche coppie conviventi dello stesso sesso e personaggi gay, come quello di una ragazza cristiana coinvolta in un rapporto lesbico, giusto per dimostrare che non vi è incompatibilità tra fede ed omosessualità.
Interessanti le osservazioni di Mr. Collinson nella sua intervista: «Ciò che viene trasmesso lunedì sera, il giorno dopo diventa oggetto di discussione della gente comune al pub, al club, o sul posto di lavoro». «In questo modo», precisa il produttore, «è davvero possibile modificare la mentalità delle persone, adeguandola alla sensibilità gay».
In questo progetto di lenta penetrazione culturale, la scuola britannica è diventata un’altra “casamatta” gramsciana, conquistata dal potere delle lobby gay.
Come ricordava la Phillips nel suo articolo per il Daily Mail, non molto tempo fa fu ingaggiata un’epica battaglia politica sull’opportunità di inculcare negli studenti l’idea il comportamento omosessuale fosse assolutamente normale. La battaglia sull’articolo 28, come venne denominata, finì con l’abrogazione del divieto di promuovere l’omosessualità nelle scuole. Oggi, la promozione di quell’orientamento sessuale sta diventando parte delle materie d’insegnamento. Sembra quindi confermarsi la fondatezza di un vecchio adagio secondo cui ciò che un tempo è vietato diventa prima tollerato e poi obbligatorio. Il punto è che, sempre secondo Melanie Phillips, «i valori una volta considerati pilastri morali della società britannica, ora sono ritenuti impresentabili», e così «quell’atteggiamento di benevola comprensione nei confronti di una piccola minoranza sessuale a volte vittima di forme di discriminazione, ora si è tramutato in una sorta di bigotteria al contrario», per cui «esprimere concetti che ieri costituivano comuni norme morali, oggi rischia di essere non solo socialmente inaudito, ma anche vietato per legge».
Destano, infatti, un certo allarme gli episodi, sempre più frequenti, d’intolleranza nei confronti, in particolare, dei cristiani, ai quali viene negato il diritto di esprimere tutta la propria convinta contrarietà a quello che ritengono essere un peccato mortale, una grave forma di disordine morale, ed un atto contro natura. Così, con il pretesto di combattere l’omofobia, e grazie al braccio armato della legge, i cristiani rischiano di diventare oggetto di una vera e propria campagna discriminatoria.
Non poteva essere più azzeccato il paragone proposto dalla Phillips a conclusione del suo articolo: «La potentissima lobby gay («all-powerful gay rights lobby») deve stare attenta, poiché rischia di trasformare gli omosessuali da vittime del pregiudizio, a fanatici instauratori di un nuovo maccartismo britannico». Sagge parole.

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L'attacco e gli insulti quali propaganda per rivendicare "diritti"

La cultura gay è veicolata dall'influente lobby gay (l'insieme delle lobbies gay), che è anche tra i soggetti più attivi nel perseguire politiche di svuotamento della famiglia (la quale esprime una cultura antinomica a quella edonistico-individualistica), ed anche nell'azione di screditamento di quelli che sono considerati avversarî politici e culturali (la Chiesa cattolica in primis).

Sia ben chiaro: evidenziare l’azione delle lobbies gay non vuole attribuire ad oscuri complotti ogni legittima rivendicazione di diritti. Il punto è un altro.
Le lobbies gay sono gruppi di pressione che si costituiscono apertamente come tali. Per citare solo i più importanti, a livello mondiale ha una forte influenza e dispone di notevoli mezzi economici l'ILGA (International Lesbian and Gay Association), presente in 90 Paesi con oltre 400 organizzazioni affiliate (in Italia l'Arcigay); nel Parlamento europeo esiste un Intergruppo parlamentare di Gay e Lesbiche.
Questi gruppi di pressione non intendono tanto difendere alcuni diritti, quanto promuovere uno stile di vita particolare. Il che sarebbe di per sé legittimo, se non fosse che che la promozione di questo stile di vita passa attraverso l'imposizione di obblighi sulla collettività, assumendo connotati di autoritarismo (e persino venature di intolleranza).

Una strategia di propaganda ben definita

Esiste, insomma, non un "complotto" gay, ma una precisa strategia di propaganda omosessuale, teorizzata nel 1990 da Marshall Kirk e Hunter Madsen, che non vuole più imporre la "diversità" gay in chiave rivoluzionaria, bensì "normalizzare" il fenomeno omosessuale con l'affermazione di una cultura unica.

In effetti, oggi in Occidente la scelta omosessuale è già, dal punto di vista dei diritti individuali, assolutamente libera. Le leggi puniscono offese e ingiuste discriminazioni.
Ma alle lobbies gay non basta. Esse pretendono che una scelta individuale diventi stile di vita pubblico; che la loro visione culturale, benché minoritaria, sia insegnata nelle scuole (sono già numerosi gli editori di libri scolastici che aderiscono al codice di autoregolamentazione del Progetto Polite, nel quale si adotta l'ideologia di "genere"); che resti l’unica ammessa nel dibattito pubblico, e ogni differenza di opinione sia considerata discriminatoria.

Va detto che la società ha spesso assegnato agli omosessuali un’etichetta di diversità con connotati spregiativi, cui sono seguite ingiuste discriminazioni. E ciò ha causato grandi sofferenze, contro le quali gli omosessuali comprensibilmente si sono battuti.

Riconoscere però che gli omosessuali sono stati in passato (e in alcuni casi possono esserlo ancor oggi) vittime di ingiustizie, e riconoscere il diritto di denunciarle e combatterle, non può autorizzare un vittimismo che legittima menzogne propagandistiche o ingiustizie di segno opposto contro chi si oppone alla strategia di propaganda gay.

Questa strategia, infatti, denuncia che i gay sono vittime di manipolazioni. Tesi già discutibile, nella misura in cui è generica e vuole ricondurre alla categoria della "manipolazione" ogni critica alla cultura gay.
La denuncia degenera però in vittimismo quando non si preoccupa di smascherare le presunte manipolazioni, ma le vuole utilizzare come alibi per costruire il proprio castello di menzogne: "Pensiamo a una strategia accurata e potente quanto quella che i gay sono accusati dai loro nemici di perseguire - o, se preferite, a un piano altrettanto manipolatorio quanto quello sviluppato dai nostri stessi nemici" (Marshall Kirk e Hunter Madsen, After the ball. How America will conquer its fear & hatred of Gays in the 90's, Plume, New York 1990, p. 160); "Non è importante se i nostri messaggi sono bugie; non per noi, perché li stiamo usando per un effetto eticamente buono, per opporci a stereotipi negativi che sono sempre un pochino falsi, e molto di più malvagi; non per i bigotti, perché i messaggi avranno il loro effetto su di loro sia che ci credano sia che non ci credano" (ibidem, p. 154).

Ad esser manipolata è persino la natura dell'omosessualità.
Per stimolare la compassione i gay devono essere presentati come "vittime delle circostanze"; perciò, "sebbene l'orientamento sessuale sembri il prodotto di complesse interazioni fra predisposizioni innate e fattori ambientali nel corso dell'infanzia e della prima adolescenza" (Kirk-Madsen, ibidem, p. 184), bisognerà presentare l'omosessualità come una caratteristica innata, genetica.

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L'attacco alla libertà di espressione, la denigrazione personale

Nella passata legislatura, il disegno di legge dell'allora ministro della Giustizia Mastella estendeva le sanzioni penali contro il razzismo e l’antisemitismo – fino a tre anni di reclusione! - anche alle “discriminazioni (...) contro l’identità di genere”. Già l'idea di introdurre un reato di opinione suscita preoccupazione; se poi questo reato fosse ricondotto al termine “discriminazione”, non inteso in senso rigoroso, lo spazio per la persecuzione delle idee (e non dei comportamenti effettivamente discriminatorî) diverrebbe impressionante.

La stessa strategia anima i tentativi di introdurre in dichiarazioni internazionali l'ideologia di "genere", o l'equiparazione a una "discriminazione" di ogni opininone difforme da tale ideologia (opinione che andrebbe considerata come violazione di diritti umani).

Le idee diverse, peraltro, secondo il movimento gay non sarebbero nemmeno meritevoli di attenzione, perché espressione di una patologia, l' "omofobia", "paura dell'omosessualità" (?!). Il confine dell'intolleranza viene qui apertamente sorpassato, e si arriva a chiedere un'aggravante specifica (quindi una situazione di favore) per i reati commessi contro gli omosessuali.

Costruendo la figura caricaturale degli "omofobi" si finisce col legittimare ben altre azioni di denigrazione e persino di calunnia.
Gli psichiatri e analisti che offrono sostegno terapeutico a persone incerte sulla propria omosessualità (e che tale sostegno richiedono liberamente), vengono etichettati come "manipolatori". Il mensile gay Pride (ripreso da Repubblica) e il quotidiano comunista Liberazione (ripreso da L'Unità) hanno effettuato "inchieste" (mediante infiltrazioni e trabocchetti) per "smascherare" scorrettezze deontologiche di quei terapeuti; senza però scoprire nessuna scorrettezza, e ritrovandosi così costretti a ritornare all'assunto ideologico di partenza, per cui sarebbe inammissibile offrire sostegno all'omosessuale incerto sulla propria tendenza.
Un caso ancora più eclatante si è verificato in Francia. Monsignor Tony Anatrella, gesuita e psicoanalista che aveva curato una voce sull'omosessualità nel Lexicon del Pontificio Istituto per la Famiglia, è stato accusato di pedofilia - con ampia eco sui giornali - da due attivisti gay. Si è poi scoperto che l'accusa era falsa e costruita a tavolino per screditarlo; ma tale scoperta non ha avuto dai giornali lo stesso risalto delle accuse...

La repressione delle idee diverse passa, ovviamente, attraverso il controllo del linguaggio. La lobby gay è in prima fila nel promuovere le regole del "politicamente corretto": la riforma del diritto di famiglia voluta da Zapatero in Spagna, per introdurre il matrimonio tra omosessuali, ha comportato la cancellazione dal codice civile dei termini marito e moglie (sostituiti con coniuge) e padre e madre (sostituiti con genitore); la BBC inglese ha diramato una circolare interna in cui, similmente, bandisce i termini padre e madre; il ministero della Pubblica istruzione inglese suggerisce agli insegnanti di riprendere i bambini che si riferiscano ai propri genitori chiamandoli mamma o papà (!), perché ciò farebbe sentire discriminati i bambini cresciuti da coppie omosessuali; in alcune contee inglesi la polizia effettua visite domiciliari per dare "lezioni sui commenti omofobici" alle persone che abbiano avuto modo di criticare le iniziative dei movimenti gay...

L'elevazione a modello dello stile gay passa anche attraverso le produzioni televisive e cinematografiche, invero un po' stucchevoli, in cui i gay sono intelligenti e sensibili, gli eterosessuali rozzi e violenti (ne abbiamo parlato a proposito de "Il padre delle spose").

Non ci sembra esagerato, allora, parlare del pericolo di una morale - anzi, di un moralismo - di Stato.

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La rivendicazione di "diritti" che sono privilegi

L’invocazione di uno Stato etico emerge prepotente in una delle principali battaglie condotte dal movimento gay: l’equiparazione tra unioni omosessuali e famiglia tradizionale (uomo e donna uniti da un vincolo matrimoniale). L'obiettivo dello ‘svuotamento’ della famiglia e dell'imposizione di una nuova moralità pubblica, che si tradurrebbe nell'ottenimento di veri e proprî privilegi, è mascherato con la rivendicazione di "diritti".

Anche in questo caso (come in quello, già ricordato, della richiesta di un'aggravante specifica per i reati commessi contro gli omosessuali) il vittimismo viene utilizzato per scardinare il principio di uguaglianza.

Infatti, riconoscere che gli omosessuali sono stati (o possono essere) vittime di ingiustizie, e concedere tutela alle singole persone contro ingiustizie reali e specifiche, non può significare il riconoscimento agli omosessuali in quanto tali di uno status di vittime, meritevoli di tutele privilegiate come categoria (che, come vedremo, è il vero contenuto delle rivendicazioni gay).

La pretesa che lo Stato dia un sigillo giuridico di “uguaglianza” a situazioni che oggettivamente uguali non sono (come evidenziamo nell'articolo Di famiglia ce n'è una) ha un unico significato: quello di ottenere un pubblico riconoscimento di “moralità” o di “normalità” alla propria condotta, pensando che ciò possa attenuare una personale situazione di disagio.

Rossi Barilli, scrittore e militante gay, spiega apertamente: "Si apre un pubblico dibattito sulle unioni civili, che sempre più diventano la questione prioritaria nell'agenda dell'Arcigay. E questo non accade perché migliaia di coppie omo scalmanate diano l'assedio al quartier generale per poter coronare il loro sogno d'amore. Anzi, il numero delle coppie disposte a impegnarsi per avere il riconoscimento legale è addirittura trascurabile [...]. Ma il punto vero è che le unioni civili sono un obiettivo simbolico formidabile. Rappresentano infatti la legittimazione dell'identità gay e lesbica attraverso una battaglia di libertà come quelle sul divorzio o sull'aborto, che dispone di argomenti semplici e convincenti: primo fra tutti la proclamazione di un modello normativo di omosessualità risolto e rassicurante. Con la torta nel forno e le tendine alle finestre, come l'ha definito una voce maligna. Il messaggio è più o meno il seguente: i gay non sono individui soli, meschini e nevrotici, ma persone splendide, affidabili ed equilibrate, tanto responsabili da desiderare di mettere su famiglia. Con questo look "affettivo" non esente da rischi di perbenismo si fa appello ai sentimenti più profondi della nazione e si vede a portata di mano il traguardo della normalità" (Gianni Rossi Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, Milano 1999, p. 212).

Chi invoca un pubblico riconoscimento di “moralità” o di “normalità” alla propria condizione, sia pure per un fine che ritiene nobile o sperando di affrontare meglio il proprio disagio, dimentica però che i criteri di moralità sono liberamente definiti dalla società; e che i riconoscimenti simbolici non possono contraddire criterî di giustizia.
Per fare un esempio, anche il possesso di un titolo di studio ha un alto valore simbolico, e la sua assenza può esser fonte di frustrazioni; ma non per questo lo Stato può - regalando titoli di studio - calpestare i diritti di chi ha sudato per ottenerli, e nuocere all'esigenza della società di poter fare effettivo affidamento sulla preparazione di persone che si fregiano di un titolo. Similmente, riconoscere l'accesso al matrimonio (o ad unioni civili che ne mutuino gli effetti) a chi non ne possiede i requisiti materiali significa calpestare i diritti della famiglia e nuocere al benessere complessivo della società.

Anche la richiesta di adottare o concepire artificialmente figli è l'espressione di un mero desiderio, che non può essere trasformato in "diritto", perché calpesta i diritti fondamentali di un soggetto più debole (anche in questo caso rimandiamo all'articolo Di famiglia ce n'è una) .

Ribadiamolo: se allo Stato può esser chiesto di contrastare le ingiuste discriminazioni, non può esser chiesto di assegnare patenti di moralità, né di comprimere il libero pensiero (considerandolo "discriminatorio"), né di violare i legittimi diritti della famiglia o dei minori, solo perché si spera che ne possa venire un vantaggio a qualcuno.

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Orazio si rifugiava nella sua villa sotto il monte Soratte (Vides ut alta stet nive candidum/Soracte...), per montare fanciulle ed efebi, ma soprattutto per sfuggire alle incessanti avances di Ottaviano. Nei bagni pubblici – una delle glorie della straordinaria ed iperigienista civiltà romana – l’esposizione di un’onesta virilità fuori misura garantiva una veloce promozione sociale. Il calendario romano, oltre a fissare la festa delle prostitute, il 26 aprile, festeggiava i maschietti come Vendola, qui muliebria patitur, il 25 aprile.
Roma, del resto, fu la capitale mondiale di coloro, qui cum masculis infandam libidinem exercere audent. In età arcaica, la morale comune accettava il quirite sodomizzatore e biasimava soltanto le checche, allora definite molles, cinaedi, pathici. Noi, eredi di quel passato, non giudichiamo e non condanniamo, tuttavia, non ci facciamo intimare da nessuno «Gay ai vinti!».
Grazie a Dina Nerozzi – vedi, fra i tanti lavori politicamente scorretti, il suo Dallo scimpanzé al bonobo, Rubbettino 2008 – ho appreso che il famoso orgoglio gay fa parte di un progetto politico messo a punto dai nuovi Marx-Engels antisistema.
Nel febbraio 1988, a Warrenton (Virginia), nel corso della prima «conferenza di Guerra» di 175 attivisti rappresentanti altrettanti omoclub sparsi negli States, venne delineata la penetrazione mondiale, uscendo dal cul de sac dello spontaneismo utopico, per passare all’omosexualismo dialettico, cioè alla teoria scientifica della conquista dell’immaginario collettivo, dei mass media; infine, del potere.
La presa del palazzo d’Inverno attraverso la manipolazione mediatica è genialmente e profeticamente descritta dai testi di Marshall Kirk e Hunter Madsen, i Marx-Engels, appunto, del movimento omosessuale, i quali lanciarono la campagna tuttora in corso, finalizzata a far passare per magnifiche sorti e progressive l’omosessualità e la transessualità, in nome, ovviamente, dell’ennesimo avvento dell’ «homo novus».
Kirk e Madsen, centristi del movimento, ebbero la meglio sugli estremisti, come Swift, terroristi della sodomia violenta nelle scuole, impartendo le seguenti indicazioni di tipo, per così dire, gradualistico:
1) Inondare la società di messaggi omosessuali per «desensibilizzare» la società.
2) Ai soggetti che rifiutano l’omosessualità per motivi religiosi, occorre mostrare come l’odio e la discriminazione non siano «cristiani».
3) Infondere nella popolazione dei sentimenti positivi nei confronti degli omosessuali e negativi nei confronti dei «bigotti antigay», paragonandoli, ad esempio, ai nazisti.
4) Bisogna presentare l’omosessualità come innata.
5) I gay devono essere sentiti come «pilastri» della società. Basta citare personaggi storici gay, vedi Leonardo da Vinci.


6) Bisogna rendere «normale» l’omosessualità, richiedendo matrimoni e adozioni gay; così, diamo un’immagine rassicurante.
Anche il termine «omofobìa», egregio Vittorio, proviene da là.


Il fatto abnorme è che quasi l’intera classe politica italiana e il mondo dell’informazione l’abbiano fatto acriticamente proprio, senza accorgersi che, etimologicamente, significa esattamente il contrario di ciò che si vorrebbe intendere.
Vuol dire, infatti, «paura del proprio simile» e non del diverso. Si tratta della stessa ignoranza e del medesimo provincialismo, che hanno fatto accettare il termine «gay», quando in italiano vi sono decine di definizioni per nulla offensive e, anzi, spesso, delicate, spiritose e piacevoli.
Caro Vittorio, c’è di peggio: poiché «fobìa» è termine medico che indica disturbi mentali, talora, assai gravi e con sintomatologia conclamata, si ha, perciò, l’esito illiberale, poliziesco e razzistico di poter dare dello psicotico e del malato a quanti si limitano ad opinare che «gay» possa non essere il massimo della vita o a quanti, facendo gli scongiuri, si augurano di avere figli o maschi o femmine.
Insomma, da una parola composta male e insensata al manicomio criminale brezneviano il passo può essere breve.

Il caso Elton John, che affitta un utero e strappa alla madre il figlio

Per la seconda volta Elton John ha steccato. No, non ci riferiamo alla sua carriera di musicista ma alla sua vita privata, che poi tanto privata non vuole essere. La prima stecca la prese nel 2005 quando convolò a "nozze" con il regista canadese David Furnish. Stesso municipio dove Carlo d'Inghliterra impalmò Camilla Parker Bowles, edificio che quindi ha il primato inglese per le nozze che suscitano giusto scandalo.
Ma ora il 63enne baronetto dall'ugola d'oro ne ha combinata un'altra. Dato che madre natura, arcigna e perfida, non permette a due persone dello stesso sesso di concepire un bebè, allora la pop star ha pensato bene di aggirare l'ostacolo, sottoscrivendo un bel contratto con una donna californiana affinchè mettesse a disposizione un ovulo e un utero. Trovata chi faceva al caso suo di certo le avrà cantato la celebre strofa di The One: "Tu sei tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno baby, tu sei la persona giusta". Per lo spermatozoo si è trovato subito un "donatore" – la parola è tra virgolette perché c'è chi ci campa negli States con questo lavoro – che, poverino, non saprà mai che cotanto seme ha dato i natali all'erede del milionario Elton. Se l'avesse saputo forse avrebbe alzato la posta in quanto a "rimborso spese". Per completare questa favoletta terribile dobbiamo aggiungere che il primo vagito è stato udito il 25 Dicembre scorso. E sì, proprio a Natale. Un Natale rovesciato però.
Al bebè è stato posto, o meglio sarebbe dire imposto, il quintuplo nome di Zachary Jackson Levon Furnish-John, forse per ricordargli in eterno che il suo concepimento è il frutto di un faticoso lavoro di squadra in cui sono state coinvolte ben cinque persone: i due committenti (Elton e David), la madre che ha prestato l'utero, il "donatore" di sperma e il tecnico di laboratorio, figura non certo marginale dato che è lui che è ha compiuto il miracolo laico della fecondazione. Elton ha dovuto chiedere ad una cicogna californiana di mettere assieme tutto questo papocchio alla Frankenstein perché l'ordinamento giuridico inglese ha avuto difficoltà a digerire il "matrimonio" omosessuale e quindi, ahilui, non si sente ancora pronto per legittimare la cosiddetta maternità surrogata.
Il mondo omosex ovviamente esulta, basta gettare un occhio in un sito gay qualsiasi, ma il buon senso - da sempre etero - molto meno. In tutta questa vicenda infatti paradossalmente nulla è gay, cioè niente è gaio.
Che c'è di bello nel sapere che un bambino viene alla luce tramite fecondazione artificiale, la quale regala – forse – un figlio ad una coppia a prezzo dello sterminio di 6-7-8 fratellini? Cosa c'è di gioioso nel fatto che il piccolo Zachary non è nato grazie al caldo abbraccio amoroso di mamma e papà, ma tramite giochi di prestigio fatti in sterili stanzette di ospedali americani? Cosa c'è di esaltante in una donna che affitta parte di se stessa, e non una parte qualsiasi, ma la culla di carne dove sboccia la vita? Cosa c'è di allegro nel saper che il piccolo crescerà in un ambiente non consono alle sue esigenze, perché privo della figura paterna e materna? E infine cosa c'è di edificante in una storia che mette a nudo che simili bizzarrie bio-giuridiche ormai sono diventate vere e proprie sceneggiature di film horror di terz'ordine?

Bimbi con due padri, ecco perchè no

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Per chi da anni denuncia la crisi della figura paterna suona quasi beffarda la grancassa mediatica e culturale di chi vorrebbe famiglie con due padri (come Repubblica del 23 maggio “I figli di due padri”). Ma lo psicanalista Claudio Risè ormai non si scompone più: «Nel nostro orizzonte culturale l’essere umano non viene più considerato come una persona con un suo corpo, ma solo come un oggetto prefabbricato. Qui si sta organizzando la produzione di bambini come adorabili oggetti di consumo». Sulla scia di sponsor del calibro di Elton John o Ricky Martin anche in Italia sarebbero un centinaio le coppie omosessuali che ricorrono all’estero (da noi è vietata) alla maternità “surrogata”: in pratica nell’utero di una donatrice che offre a pagamento il proprio utero viene inserito un embrione formato dall’ovocita di una donatrice e il seme di uno dei due padri. E la campagna mediatica si rianima mentre è in corso in parlamento il dibattito sulla legge sull’omofobia.

Professore perché per un bimbo è importante avere un padre e una madre?

In assenza del genitore del proprio sesso, sarà molto difficile per quel bambino sviluppare la propria identità psicologica corrispondente. La psiche maschile e quella femminile sono molto diverse e l’identità complessiva si forma anche a partire dalla propria identità sessuale. Nel caso di maternità surrogata, lo sviluppo psicologico, affettivo, cognitivo di una bimba con due genitori di sesso maschile sarebbe in forte difficoltà: avrebbe problemi nel riconoscersi nel proprio sesso. Lo stesso accade al piccolo maschio.

Qualcuno le obietterebbe che uno dei due padri (o una delle madri nel caso di coppie lesbiche) potrebbe benissimo svolgere il ruolo della figura materna (o paterna nell’altro caso).
No. La vita umana è inscritta in due ordini: il dato naturale, biologico, e quello simbolico che il bambino ha iscritto nella propria psiche, conscia e inconscia. Entrambi presiedono allo sviluppo, alla manifestazione di una capacità progettuale, alla crescita di un’affettività equilibrata. Il padre è un individuo di genere maschile che ha scritto nel suo patrimonio genetico, antropologico, affettivo e simbolico la storia del proprio genere. Proprio perché è un maschio e non è una donna, non può avere né il sapere naturale profondo, né quello simbolico materno. I due codici simbolici, paterno e materno, sono molto diversi: la madre è colei che soddisfa i bisogni, il padre è colui che dà luogo al movimento e propone il limite: indica la direzione e stabilisce dove non si può andare. Nei paesi anglosassoni e del nordeuropea da tempo ci sono casi di coppie omosessuali con figli: studi sul campo hanno provato che la mancanza di genitori di sesso diverso è fonte di problemi, il più evidente dei quali (quando i genitori sono del sesso opposto al tuo), è la formazione delle tua immagine sessuale profonda.

Quali sono i rischi che corre un bambino/a che cresce senza un genitore di sesso femminile? Tanto più che nella fecondazione assistita eterologa padre e madre sono spesso sconosciuti…
L’esperienza del contatto fisico con la madre, nella cui pancia si è stati, è riconosciuta dalla psichiatria e dalle psiconalisi come fondativa della personalità, e della stessa corporeità…

Nei libri come Il padre l’assente inaccettabile o Il mestiere di padre (entrambi pubblicati dalla San Paolo) denunciava la scomparsa della figura paterna. Ora invece sembra a rischio la figura materna.
Anche quei libri sono stati scritti per dimostrare che servono entrambi i genitori, entrambi gli aspetti, quello maschile e quello femminile. La verità è che ormai non c’è solo una crisi della paternità. Ma dell’umanità in generale. L’essere umano, attraverso acquisti e affitti di parti del corpo e elementi generativi è diventato un “prodotto fabbricato”, nel senso in cui ne parlava Michel Foucault. Siamo ormai all’interno di un modello culturale “materialista” (ma in realtà molto mentale, perché passa dalla negazione del corpo “naturale”) fondato sulla soddisfazione narcisistica dei bisogni indotti dal sistema di consumo. Il bimbo “fabbricato” è uno di questi nuovi bisogni. È l’effetto del processo di secolarizzazione che ha tagliato anche i rapporti con il padre celeste, Dio: non c’è posto per l’Altro, tanto meno per la dimensione verticale. Ma negando l’ordine naturale e simbolico siamo costretti a negare anche la nostra corporeità (iscritta in essi) come spiego nel mio ultimo libro Guarda tocca vivi. Riscoprire i sensi per essere felici (Sperling & Kupfer, pp. 210, euro 16,50). Altro che superinvestimento nei sensi. L’ideologia consumista, le mode, i media dettano i nostri comportamenti, perfino nell’innamoramento: ci si incontra e ci si lascia in base ai suggerimenti della moda e delle “tendenze”. La sapiente teologia dell’amore di Giovanni Paolo II è stata spazzata via da una sessualità staccata dalla sensualità della persona umana, e consumista. Non stupiamoci, allora, se sono sempre di più quelli che vogliono evadere dal proprio corpo: magari con le droghe o coi disturbi alimentari come l’anoressia. La sacralità del corpo del cristianesimo è stata negata, e i consumi divinizzati. Ma solo riappropriandoci della nostra corporeità potremo relazionarci con gli altri.

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