Omocrazia dittatoriale a stelle e strisce

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Naruto_Uzumaki !
view post Posted on 5/8/2011, 20:24     +1   -1




Omocrazia a stelle e strisce


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Il 24 giugno scorso il Parlamento dello stato di New York ha approvato il matrimonio omosessuale, 33 voti a 29, facendo di New York il Sesto stato, su cinquanta, ad emettere la licenza matrimoniale a coppie dello stesso sesso. La stampa di tutto il mondo si è occupata di questa vittoria della lobby gay, anzi LGBT, l’acronimo ormai universalmente riconosciuto per i generi “lesbiche, gay, bisex, trans”, dando l’impressione che il matrimonio gay sia entrato nella cultura americana e che per questo ormai sia ormai solo questione di tempo prima che venga riconosciuto in tutto il Paese.

Ma la realtà è esattamente al contrario. Ogni volta che la questione è stata sottoposta a referendum, il voto popolare ha sonoramente bocciato le unioni omosessuali, e questo perfino in stati all’avanguardia della modernità e dai costumi liberissimi come la California. In trentuno stati su cinquanta si è arrivati al referendum e in ogni caso la maggioranza della gente semplice ha detto “no”. Come mai allora in sei stati il matrimonio gay è passato? Semplice: è stato per un intervento o della magistratura o della politica, a seguito di campagne intensissime e con forti iniezioni di capitali da parte delle lobby gay.

La legge vigente in materia oggi è quella firmata nel 1996 dal presidente Bill Clinton, detta Atto di Difesa del Matrimonio (acronimo: DOMA), che definiva il matrimonio come l’unione fra un uomo e una donna e affermava il diritto costituzionale di ogni singolo Stato di negare anche il riconoscimento a matrimoni omosessuali celebrati in uno Stato diverso. Dopo il DOMA federale, oltre metà dei 50 Stati (37 per la precisione) ha definito il matrimonio nella propria costituzione come unione fra un uomo e una donna.

Successivamente il matrimonio omosessuale è stato riconosciuto negli stati tradizionalmente “liberal” (di sinistra) del Nord est: fece da battistrada il Massachusetts (2003) seguito a distanza da Connecticut (2008), Vermont (2009) e New Hampshire (2010). Nel 2009 è stato approvato da uno Stato del Midwest, l’Iowa, e adesso da New York (2011). A questi stati si aggiunge il piccolo Distretto della Columbia, l’area attorno a Washington che non appartiene a nessuno stato. Il Maryland nel 2010 ha votato di riconoscere i matrimoni gay celebrati in altri stati. Ma nessuna di queste convalide è mai venuta dal voto popolare. Nei 31 stati in cui una consultazione popolare c’è stata, a prevalere è sempre stata la difesa del matrimonio fra un uomo e una donna, anche quando ciò era in contrasto con sentenze e leggi già stabilite. In tre casi, Hawaii (1998), Alaska (1998) e California (2008), il voto degli elettori ha invalidato delle sentenze in materia da parte dei tribunali, e nel Maine (2009) i cittadini hanno abrogato una legge che era stata approvata dal parlamento di quello Stato.

L’attivismo pro matrimonio omosessuale insomma ha avuto successo solo quando la questione è stata presa in mano da un giudice o da un gruppo di politici su cui erano riusciti a fare pressioni le lobby LGBT. Dai giornali e dai media, però, questa informazione è stata di fatto coperta dalla notizia dell’avvenuto riconoscimento nel solo stato di New York. In particolare, nei giorni recenti si è perso di vista che tale approvazione era da poco fallita nel Maryland e nel Rhode Island, e sono rimaste oscurate le recenti approvazioni di due emendamenti costituzionali sul matrimonio - in Indiana e nel Minnesota – che definiscono il matrimonio come unione fra un uomo e una donna. Emendamenti simili sono attualmente all’esame anche di North Carolina e Pennsylvania. Per arrivare all’approvazione del matrimonio omosessuale a New York sono state determinanti le iniziative delle lobby presso i politici. Cinque gruppi pro matrimonio omosex si sono fusi in un’unica organizzazione e hanno assunto un consulente che li aiutasse ad allestire una campagna di lobbying efficace – con telefonate e cartoline ai politici, un blitz radiotelevisivo da $3milioni, finanziamenti di benefattori facoltosi con parenti gay e sollecitazioni personali presso politici scelti.

E benché dei referendum in tempi diversi in tutto il Paese abbiano dimostrato che la grande maggioranza degli elettori americani non vuole la legalizzazione del matrimonio gay, i sostenitori del matrimonio tradizionale non sono riusciti a organizzarsi politicamente per riuscire a opporsi alla legge di New York. Per avere un’idea di come la questione sia combattuta e all’attenzione dell’opinione pubblico, basti pensare che nella stessa New York, meno di due anni fa, nel dicembre 2009, il matrimonio gay era stato bocciato per 38-24. Anche in quel caso il governatore dello Stato, che allora era David A Paterson, si era espresso a favore, e le organizzazioni dei diritti dei gay avevano convogliato quasi $1 milione sulle campagne elettorali per incentivare il sostegno alla legge. Ma è il caso della California quello finora più movimentato, avendo coinvolto tribunali, legislatori e referendum popolare. Nel novembre 2008, sei mesi dopo che una sentenza della Corte Suprema della California aveva riconosciuto la legalità dei matrimoni omosessuali, gli elettori li bocciarono in un referendum (noto come “Proposition 8”) che provvide a definire il matrimonio come unione fra un uomo e una donna.

Colpo di scena nell’agosto 2010 quando la Nona Corte distrettuale della California definisce incostituzionale il referendum popolare. Tale verdetto è in attesa di appello e l’udienza è in calendario per il dicembre 2011. Ma qualunque sarà l’esito, è probabile che anche questo verdetto venga impugnato davanti alla Corte Suprema, che se dovesse convalidare il matrimonio gay finirebbe per cancellare le leggi della maggior parte degli stati, esattamente come fece la sentenza Roe v. Wade per l’aborto nel 1973. Nel frattempo peraltro si è saputo che il giudice della Nona Corte distrettuale che ha decretato l’incostituzionalità del referendum si trovava in conflitto di interessi essendo egli, per sua stessa ammissione, impegnato in un rapporto omosessuale stabile da dieci anni.

Attualmente sono all’esame dei tribunali di quattro Stati delle cause per far dichiarare incostituzionale la legge DOMA. Se il risultato in tribunale è imprevedibile, più intuibile è il progresso fatto dagli sforzi di Obama per mettere fine a DOMA, esercitati lungo due direttrici, quella giuridiziaria e quella legislativa. In febbraio, con una mossa inaudita per un governo in carica, il Presidente aveva dichiarato ufficialmente che non avrebbe difeso la costituzionalità di DOMA, una legge dello Stato federale. E il 19 luglio è andato oltre, dichiarando il suo appoggio a un disegno di legge per abrogare la stessa Doma. Intanto anche il Senato sta preparandosi ad abrogare la DOMA, cominciando in queste settimane delle udienze sul tema.

In conclusione, anche se negli ultimi due decenni il matrimonio omosessuale ha vinto il sostegno di giudici e politici, alle urne perde sempre, e nonostante il favore dei media, rimane comunque una questione delicata e controversa.

Intanto, anche in Italia la volontà popolare viene sovvertita dalle lobby omosessualiste e dalle scelte ideologiche della Sinistra .

"Una cattolica non può garantire diritti civili"

Quel politico è cattolico, non deve diventare presidente della commissione pari opportunità. Se qualcuno aveva dubbi sulla deriva zapateriana di alcune amministrazioni ecco che la vicenda della Regione Emilia Romagna ci offre l’ennesimo spunto di riflessione. Bologna. La giunta di centro-sinistra guidata da Vasco Errani e il consiglio regionale erano praticamente pronti per votare il presidente della commissione Pari Opportunità. Il candidato prescelto, Silvia Noè, capogruppo dell’Udc, aveva ottenuto il placet di tutti, o quasi, governatore compreso. Una scelta politica per un ruolo di garanzia, per il quale servono esperienza, competenza e imparzialità. Ma qualcosa, all’approssimarsi del voto è andato storto.

A salire sulle barricate sono stati i partiti della Sinistra più radicale, da Sinistra Ecologia e Libertà all’Italia dei Valori, che hanno raccolto i mugugni delle associazioni gay and lesbian friendly felsinee in protesta davanti alla sede del parlamentino regionale: «Una cattolica alle pari opportunità? Mai! Con la Noè in presidenza addio diritti a gay e lesbiche, addio all’aborto facile, addio alle multi famiglie». Così al posto della Noè, la scelta è ricaduta sulla democratica Roberta Mori, che evidentemente offriva più garanzie ai pruriti di Vendola e compagni.

Adesso in via Aldo Moro, sede della Regione, le opposizioni gridano alla discriminazione del cattolico, mentre il Pd, soprattutto la parte dei cattolici, si giustifica dicendo che quel ruolo non è andato alla Noè non perché cattolica, ma perché dell’opposizione. La sinistra radicale invece canta vittoria e passa a incassare la cambiale per un veto che di fatto rende il presidente della Regione ostaggio della Sinistra radicale e delle lobby omosex.

«Su di me una discriminazione vera e propria, sullo stile di quella che subì Buttiglione in Europa», commenta alla Bussola Quotidiana la Noè.

Dunque, Errani ostaggio delle lobby gay? «Ostaggio? Soggetto attivo di un veto, direi. Di fronte al muro posto da rappresentanti di movimenti e associazioni omosessuali e della sinistra radicale – ci spiega -, prendo atto che Errani ha fatto una scelta politica e ideologica ben precisa». Chiediamo se il presidente si è fatto vivo dopo il voto. «Dopo, appunto. E’ meglio che non riporti che cosa mi ha detto».

L’amarezza per l’esponente dell’Udc è anche per il ruolo giocato sulle sponde Pd «da colleghi che si definiscono cattolici come me». «Mi hanno espresso solidarietà durante le proteste, ma poi quando si è trattato di votare, evidentemente non sono stati solidali con loro stessi. Mi dicevano: “E’ un trattamento inaccettabile”. Poi hanno assecondato la “ragion di Stato”. Ma ormai è chiaro: loro ragionano solo secondo logiche di potere».

Sotto accusa, neanche tanto velatamente, le sue posizioni su aborto, ingresso delle associazioni pro life nei consultori, ma anche politiche famigliari e ovviamente la contrarietà al matrimonio omosex. «Che vuol dire? Anche io sono laica - tuona -, ma chiedo la piena applicazione della 194, una legge che non mi piace, ma che comunque fin dal suo titolo prevede la tutela della maternità e la rimozione delle cause di una scelta così dolorosa.

La morale di questa storia, sembra indicarci la Noè, è che ormai, in certe realtà politiche, i criteri di competenza e imparzialità, per certi ruoli politici non servono più: «Conta solo l’ideologia».

A evidenziare lo strappo che si è consumato in Emilia è anche il fatto che «i presidenti delle altre commissioni permanenti della Regione sono stati tutti votati all’unanimità, «senza passare da alcun esame ideologico». Così è stato anche per Franco Grillini, storico attivista gay e neoeletto presidente della Commissione politiche economiche. «Lui però si è opposto alla mia nomina», ha fatto notare con rammarico. La motivazione? “Chi afferma di avere principi non negoziabili non può presiedere una commissione che discute di diritti civili”, aveva protestato il presidente onorario Arcigay. Qui però, evidentemente, l’unica cosa non negoziabile è la sacralità della caccia alle streghe ai cattolici. Con il placet di politici cattolici.

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